Di seguito leggerete ciò che avevo scritto al posto di gran parte del capitolo 5. Verso la fine noterete che certe cose sono rimaste anche nella versione finale del libro.
Percorro il sentiero
che porta al villaggio lentamente, con un peso sul cuore.
Ripenso al sogno,
ripenso al desiderio di uccidere Vega G. Ero pronta a farlo. Ero pronta a
portarle via la vita, come lei l'ha portata via a mio padre. Il peso sul cuore
è un senso di colpa, una specie di macchia. Ma più ci penso, più mi avvicino al
villaggio, più mi dico che non devo essere io a sentirmi sporca. Non sono io l'assassina. Non ho ucciso io mio padre.
Dopo qualche minuto,
mi ritrovo accanto all'orto.
Andrew se ne sta
seduto con le gambe incrociate di fronte alla tomba di Michael. La riconosco
perché, rispetto alle altre, la terra su di essa è fresca.
Una parte di me
vorrebbe continuare a camminare. Raggiungere Baguette, dirle di iniziare a
prepararci per partire. L'altra parte di me, però, guida le gambe verso il
figlio di Anna e Jonathan, il migliore amico di Jonah.
Il bambino resta
immobile, nonostante si accorga di me. Continua ad osservare ciò che ha
davanti.
Uno dei motivi per
cui ho scelto di non tornare al villaggio per la sepoltura è che non capisco
perché bisogni seppellire un uomo morto. Coprirlo di terra, lasciare che le
larve si nutrano del suo corpo.
Mio padre è morto.
Non vivrà più. Non parteciperà più ad alcuna semina o ad alcun raccolto. Il suo
corpo non comunicherà più nulla agli abitanti di Pontenero. A me.
So che qui non c'è
modo di effettuare una cremazione.
So che le cose, in
questo mondo, sono diverse.
Per questo ho scelto
di rimanere in disparte.
Per questo, ora,
fatico a rimanere a mio agio mentre osservo la tomba ovale. I sassi che
delineano la terra scura, i fiori sistemati ai piedi del paletto su cui è appeso
un foglio bianco che recita:
Michael Steve Newman
Figlio di Trisha e
Steve
Padre di Lilac e Jonah
"Uccideranno
anche il mio papà, vero?" Andrew gira il capo
nella mia direzione. "Le donne cattive. Uccideranno anche il mio papà. E
Adam, e Marco. Uccideranno tutti i papà, e porteranno via i bambini."
"No," dico
immediatamente, prendendo la sua piccola mano. "No, Andrew. No. Nessuno
farà del male al tuo papà, o agli altri papà. Nessuno porterà via i
bambini."
"Come fai a
saperlo?" chiede lui, lasciando andare la mia mano. "Chi te l'ha detto?"
I suoi occhi scuri sono attenti. La sua voce è quella di un bambino che ha
bisogno di certezze.
"Lo so perché il
tuo papà e Adam stanno facendo la guardia," rispondo, indicando il tetto
della casa rossa. Andrew si gira, e Adam è lì, con gli occhi puntati verso il
lungomare. Jonathan, invece, è sul tetto della sua casa, a qualche decina di
metri da noi, intento ad osservare la via collinare.
"Nessuna donna
cattiva potrà avvicinarsi al villaggio, te lo prometto." Gli passo una
mano sui capelli, ricci come quelli di suo padre.
Lui annuisce, ma non
sembra convinto. Ha bisogno di rassicurazioni, ma io sono un'estranea. Le mie
parole contano poco.
"Dov'è la tua
mamma?" domando.
"E' in casa con
Maurizio. Sta riposando, perché il nuovo bambino le prende a calci la pancia.
Elia, Mister ed Eloise sono andati a prendere l'acqua al pozzo."
Il villaggio è
avvolto dal silenzio. Ad accompagnare il ticchettio muto del tempo ci sono le
chiome degli alberi mosse dal vento, i gabbiani che cantano mentre volano sul
mare. Il suono, sordo e zoppicante, del mio cuore.
Quando Andrew parla
di nuovo, mi accorgo che gli sto ancora accarezzando i capelli. "Terry ha
detto che sei cattiva. Che sei come le donne che hanno ucciso Michael."
Mette insieme le parole con calma, e quando mi guarda non c'è timore in lui. O
rabbia.
Porto via la mano dai
suoi capelli con un gesto calmo, anche se dentro sono infuriata.
"Terry ha
ragione quando dice che le donne che hanno ucciso Michael sono cattive, ma io
non sono come loro. Io non volevo che lui morisse. E non voglio che il tuo papà
muoia. Non voglio che nessuno muoia."
"Allora perché
ha detto che sei cattiva?" chiede Andrew a voce bassa.
Perché non mi
conosce. Perché è più facile etichettare le persone invece che fermarsi a
riflettere.
"Perché fino a
qualche giorno fa vivevo con quelle donne. Credevo che fossero buone. Buone
come te, come la tua mamma. Come Coral."
Andrew riflette sulle
mie parole per qualche istante, e poi annuisce. "Hanno preso Jonah. Se tu
vivevi con loro, allora sai dove lo hanno portato. Se gli chiedi di farlo
tornare qui, loro ti ubbidiranno."
"Credo di
saperlo," rispondo con un sorriso. "E farò di tutto per andarlo a
riprendere."
Lui annuisce di
nuovo. "Jonah è mio amico."
"Lo so."
Prendo la sua mano e la stringo fra le mie, per dargli calore. L'attiro alle
labbra e ne bacio il dorso con dolcezza. Stavolta Andrew non si tira indietro.
"Ho fatto un
disegno," dice dopo qualche istante, tirando fuori dalla tasca del
calzoncini un foglio bianco ripiegato. Lo apre e me lo mostra, lasciando che io
lo prenda fra le mani. "Questo sono io," dice, puntando l'indice
verso il bambino accanto ad un piccolo cumulo di terra simile a quello che
abbiamo ora di fronte. "Questi sono i miei genitori, quello è mio
fratello. Ho fatto anche Jonah," dice poi, indicando il bambino con i
capelli biondi. "Siamo tutti vicini a Michael."
"E' un bel
disegno," dico io. "Sei molto bravo, Andrew."
"Mettilo assieme
alle altre cose," dice lui, indicando un contenitore sistemato dietro al
paletto. "Per favore.”
Faccio come dice.
Faccio il giro della tomba, e sistemo il disegno assieme agli altri fogli che
sono all'interno del contenitore quadrato. Prima di tornare accanto al bambino
mi libero del ciondolo di lillà e lo appoggio sul fondo.
Non posso capire
completamente il bisogno di seppellire un cadavere. La necessità, che queste
persone hanno, di rimanere accanto alla persona amata anche se di quella
persona non esiste più nulla.
Posso capire, però,
l'idea di onorare la memoria di Michael con un disegno, o con una lettera.
E' per questo che gli
lascio il mio ciondolo. Nel farlo sento il peso sul cuore sparire per un
attimo. Nel farlo, mi dico, gli sono ancora vicina.
Andrew si alza da
terra con un movimento veloce quando mi allontano dal paletto. Porta una mano
alle labbra, ne bacia il palmo e poi fa un saluto rapido. "Ciao,
Michael." Compie lo stesso gesto sulla piccola tomba accanto a quella di
mio padre, dicendo "Ciao, Dodi."
Lo guardo in attesa
che vada via, ma lui si ferma e mi aspetta.
Tenendoci per mano,
camminiamo sul sentiero che divide la casa rossa da quella verde, e solo quando
raggiungiamo il prato che divide le schiere di case, Andrew mi lascia andare.
Mi guarda in silenzio, prima di avviarsi verso la sua abitazione, quella
gialla.
Lo guardo entrare, e
poi mi giro verso il Viano. Non è più all'interno del garage, segno che è
riuscito a ripartire con l'ausilio dei motori ad aria. Sto per avvicinarmi al
garage, alla ricerca di Baguette, ma i rumori che provengono dal boschetto
delle api attirano la mia attenzione. Alzo gli occhi verso Jonathan, il quale
si limita a sollevare un pollice verso di me.
Passano meno di dieci
secondi, e dal sentiero che porta alla via collinare sbucano, ognuno a bordo di
una bicicletta con dietro un carretto, Elia, Eloise e Mister. Pedalano
sull'erba e si fermano davanti al gazebo. I carretti sono pieni di bidoni bianchi.
Elia è il primo a
scendere dalla sua bicicletta. Mi viene incontro. E' sudato, affannato.
"Siamo andati a
prendere l'acqua," dice, indicando le biciclette da cui Eloise e Mister
stanno scendendo. "Come-"
"Lilac?" La
voce di Baguette arriva da sinistra, assieme al suono del portellone del Viano,
aperto e chiuso.
Baguette cammina
lentamente, e lo fa stropicciandosi gli occhi. Dà un'occhiata alle biciclette,
e poi il suo sguardo si posa su me e su Elia. "Mi sono distesa su un
sedile dopo aver finito il collaudo del motore. Ho chiuso gli occhi per qualche
minuto."
"Noi siamo
andati al pozzo," dice Elia.
"Avresti potuto
avvisarmi," ribatte lei. "Avrei preso il posto di Mister."
"Hai fatto bene
a riposare," dice l'uomo di colore, alle sue spalle.
Nelle loro voci, nei
loro volti, non c'è alcuna emozione. Le loro sono parole meccaniche, prive di
ogni sfumatura emotiva.
"Ho bisogno di
parlarvi," dico a voce alta, per farmi sentire anche da Eloise. I suoi
occhi sono gonfi e arrossati.
"D'accordo,"
dice Elia. "Non appena avremo sistemato l'acqua nel deposito, potremo
metterci tutti e cinque sotto al gazebo per-"
"No. Ho bisogno
di parlare con tutti. Con tutti gli abitanti di Pontenero. E voglio farlo
adesso. Non dopo. Adesso."
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