Benvenuti nel sito-blog dedicato a Segreto, il secondo libro de La Trilogia di Lilac.

venerdì 10 gennaio 2014

Scena tagliata - Capitolo 5

Nella prima bozza di Segreto, il funerale di Michael non era presente. Nel Q&A audio ho spiegato il perché di quella scelta iniziale.

Di seguito leggerete ciò che avevo scritto al posto di gran parte del capitolo 5. Verso la fine noterete che certe cose sono rimaste anche nella versione finale del libro.



Percorro il sentiero che porta al villaggio lentamente, con un peso sul cuore.
Ripenso al sogno, ripenso al desiderio di uccidere Vega G. Ero pronta a farlo. Ero pronta a portarle via la vita, come lei l'ha portata via a mio padre. Il peso sul cuore è un senso di colpa, una specie di macchia. Ma più ci penso, più mi avvicino al villaggio, più mi dico che non devo essere io a sentirmi sporca. Non sono io l'assassina.  Non ho ucciso io mio padre.
Dopo qualche minuto, mi ritrovo accanto all'orto.
Andrew se ne sta seduto con le gambe incrociate di fronte alla tomba di Michael. La riconosco perché, rispetto alle altre, la terra su di essa è fresca.
Una parte di me vorrebbe continuare a camminare. Raggiungere Baguette, dirle di iniziare a prepararci per partire. L'altra parte di me, però, guida le gambe verso il figlio di Anna e Jonathan, il migliore amico di Jonah.
Il bambino resta immobile, nonostante si accorga di me. Continua ad osservare ciò che ha davanti.
Uno dei motivi per cui ho scelto di non tornare al villaggio per la sepoltura è che non capisco perché bisogni seppellire un uomo morto. Coprirlo di terra, lasciare che le larve si nutrano del suo corpo.
Mio padre è morto. Non vivrà più. Non parteciperà più ad alcuna semina o ad alcun raccolto. Il suo corpo non comunicherà più nulla agli abitanti di Pontenero. A me.
So che qui non c'è modo di effettuare una cremazione.
So che le cose, in questo mondo, sono diverse.
Per questo ho scelto di rimanere in disparte.
Per questo, ora, fatico a rimanere a mio agio mentre osservo la tomba ovale. I sassi che delineano la terra scura, i fiori sistemati ai piedi del paletto su cui è appeso un foglio bianco che recita:

Michael Steve Newman
Figlio di Trisha e Steve
Padre di Lilac e Jonah

"Uccideranno anche il mio papà, vero?" Andrew gira il capo nella mia direzione. "Le donne cattive. Uccideranno anche il mio papà. E Adam, e Marco. Uccideranno tutti i papà, e porteranno via i bambini."
"No," dico immediatamente, prendendo la sua piccola mano. "No, Andrew. No. Nessuno farà del male al tuo papà, o agli altri papà. Nessuno porterà via i bambini."
"Come fai a saperlo?" chiede lui, lasciando andare la mia mano. "Chi te l'ha detto?" I suoi occhi scuri sono attenti. La sua voce è quella di un bambino che ha bisogno di certezze.
"Lo so perché il tuo papà e Adam stanno facendo la guardia," rispondo, indicando il tetto della casa rossa. Andrew si gira, e Adam è lì, con gli occhi puntati verso il lungomare. Jonathan, invece, è sul tetto della sua casa, a qualche decina di metri da noi, intento ad osservare la via collinare.
"Nessuna donna cattiva potrà avvicinarsi al villaggio, te lo prometto." Gli passo una mano sui capelli, ricci come quelli di suo padre.
Lui annuisce, ma non sembra convinto. Ha bisogno di rassicurazioni, ma io sono un'estranea. Le mie parole contano poco.
"Dov'è la tua mamma?" domando.
"E' in casa con Maurizio. Sta riposando, perché il nuovo bambino le prende a calci la pancia. Elia, Mister ed Eloise sono andati a prendere l'acqua al pozzo."
Il villaggio è avvolto dal silenzio. Ad accompagnare il ticchettio muto del tempo ci sono le chiome degli alberi mosse dal vento, i gabbiani che cantano mentre volano sul mare. Il suono, sordo e zoppicante, del mio cuore.
Quando Andrew parla di nuovo, mi accorgo che gli sto ancora accarezzando i capelli. "Terry ha detto che sei cattiva. Che sei come le donne che hanno ucciso Michael." Mette insieme le parole con calma, e quando mi guarda non c'è timore in lui. O rabbia.
Porto via la mano dai suoi capelli con un gesto calmo, anche se dentro sono infuriata.
"Terry ha ragione quando dice che le donne che hanno ucciso Michael sono cattive, ma io non sono come loro. Io non volevo che lui morisse. E non voglio che il tuo papà muoia. Non voglio che nessuno muoia."
"Allora perché ha detto che sei cattiva?" chiede Andrew a voce bassa.
Perché non mi conosce. Perché è più facile etichettare le persone invece che fermarsi a riflettere.
"Perché fino a qualche giorno fa vivevo con quelle donne. Credevo che fossero buone. Buone come te, come la tua mamma. Come Coral."
Andrew riflette sulle mie parole per qualche istante, e poi annuisce. "Hanno preso Jonah. Se tu vivevi con loro, allora sai dove lo hanno portato. Se gli chiedi di farlo tornare qui, loro ti ubbidiranno."
"Credo di saperlo," rispondo con un sorriso. "E farò di tutto per andarlo a riprendere."
Lui annuisce di nuovo. "Jonah è mio amico."
"Lo so." Prendo la sua mano e la stringo fra le mie, per dargli calore. L'attiro alle labbra e ne bacio il dorso con dolcezza. Stavolta Andrew non si tira indietro.
"Ho fatto un disegno," dice dopo qualche istante, tirando fuori dalla tasca del calzoncini un foglio bianco ripiegato. Lo apre e me lo mostra, lasciando che io lo prenda fra le mani. "Questo sono io," dice, puntando l'indice verso il bambino accanto ad un piccolo cumulo di terra simile a quello che abbiamo ora di fronte. "Questi sono i miei genitori, quello è mio fratello. Ho fatto anche Jonah," dice poi, indicando il bambino con i capelli biondi. "Siamo tutti vicini a Michael."
"E' un bel disegno," dico io. "Sei molto bravo, Andrew."
"Mettilo assieme alle altre cose," dice lui, indicando un contenitore sistemato dietro al paletto. "Per favore.”
Faccio come dice. Faccio il giro della tomba, e sistemo il disegno assieme agli altri fogli che sono all'interno del contenitore quadrato. Prima di tornare accanto al bambino mi libero del ciondolo di lillà e lo appoggio sul fondo.
Non posso capire completamente il bisogno di seppellire un cadavere. La necessità, che queste persone hanno, di rimanere accanto alla persona amata anche se di quella persona non esiste più nulla.
Posso capire, però, l'idea di onorare la memoria di Michael con un disegno, o con una lettera.
E' per questo che gli lascio il mio ciondolo. Nel farlo sento il peso sul cuore sparire per un attimo. Nel farlo, mi dico, gli sono ancora vicina.
Andrew si alza da terra con un movimento veloce quando mi allontano dal paletto. Porta una mano alle labbra, ne bacia il palmo e poi fa un saluto rapido. "Ciao, Michael." Compie lo stesso gesto sulla piccola tomba accanto a quella di mio padre, dicendo "Ciao, Dodi."
Lo guardo in attesa che vada via, ma lui si ferma e mi aspetta.
Tenendoci per mano, camminiamo sul sentiero che divide la casa rossa da quella verde, e solo quando raggiungiamo il prato che divide le schiere di case, Andrew mi lascia andare. Mi guarda in silenzio, prima di avviarsi verso la sua abitazione, quella gialla.
Lo guardo entrare, e poi mi giro verso il Viano. Non è più all'interno del garage, segno che è riuscito a ripartire con l'ausilio dei motori ad aria. Sto per avvicinarmi al garage, alla ricerca di Baguette, ma i rumori che provengono dal boschetto delle api attirano la mia attenzione. Alzo gli occhi verso Jonathan, il quale si limita a sollevare un pollice verso di me.
Passano meno di dieci secondi, e dal sentiero che porta alla via collinare sbucano, ognuno a bordo di una bicicletta con dietro un carretto, Elia, Eloise e Mister. Pedalano sull'erba e si fermano davanti al gazebo. I carretti sono pieni di bidoni bianchi.
Elia è il primo a scendere dalla sua bicicletta. Mi viene incontro. E' sudato, affannato.
"Siamo andati a prendere l'acqua," dice, indicando le biciclette da cui Eloise e Mister stanno scendendo. "Come-"
"Lilac?" La voce di Baguette arriva da sinistra, assieme al suono del portellone del Viano, aperto e chiuso.
Baguette cammina lentamente, e lo fa stropicciandosi gli occhi. Dà un'occhiata alle biciclette, e poi il suo sguardo si posa su me e su Elia. "Mi sono distesa su un sedile dopo aver finito il collaudo del motore. Ho chiuso gli occhi per qualche minuto."
"Noi siamo andati al pozzo," dice Elia.
"Avresti potuto avvisarmi," ribatte lei. "Avrei preso il posto di Mister."
"Hai fatto bene a riposare," dice l'uomo di colore, alle sue spalle.
Nelle loro voci, nei loro volti, non c'è alcuna emozione. Le loro sono parole meccaniche, prive di ogni sfumatura emotiva.
"Ho bisogno di parlarvi," dico a voce alta, per farmi sentire anche da Eloise. I suoi occhi sono gonfi e arrossati.
"D'accordo," dice Elia. "Non appena avremo sistemato l'acqua nel deposito, potremo metterci tutti e cinque sotto al gazebo per-"
"No. Ho bisogno di parlare con tutti. Con tutti gli abitanti di Pontenero. E voglio farlo adesso. Non dopo. Adesso."


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