Ricordate il seguente dialogo, fra Lilac e il Capitano?
“Un’altra cosa,” aggiungo. “Un’altra cosa.”
“Dimmi.”
Pensa, Lilac. Pensa.
“Cosa è successo a quei bambini nel supermercato? Quelli che mangiavano la farina?”
“Li lasciammo andare,” risponde dopo qualche istante. “Convincemmo il proprietario a regalargli l’acqua e la farina e li lasciammo andare.”
Il mio sorriso si mescola alla commozione. “O-ok. Bene.”
Questo capitolo extra ha a che fare con le parole del Capitano.
Roma, 2019
Li noto mentre rientriamo in caserma a piedi, dopo la visita
all’ospedale in cui hanno ricoverato Caridi.
Sono due, piccoli. Uno è disteso sul marciapiede, con la
testa sull’erba. L’altro gli è accanto, in piedi.
Due ore fa non erano lì.
“Attraversiamo,” borbotta Spano attraverso la sciarpa che
gli copre la bocca. “Non farti venire idee stupide, Strada. Sai come funziona.”
Lo so. Gli ordini sono chiari.
Non possiamo assistere i senzatetto. Non possiamo dare loro
coperte, cibo, protezione.
Neanche quando, come in questo caso, sono bambini.
Spano scende in strada per cambiare marciapiede. Io resto ad
osservare i piccoli, andando per l’ennesima volta contro gli ordini.
Quello in piedi non ha i pantaloni. Le sue gambe sono bastoncini
pallidi e sporchi. Il nero della terra fa risaltare ancora di più il bianco
della pelle infreddolita.
Batte i piedi, in scarpe più grandi dei suoi piedi, per
cercare di riscaldarsi.
“Sbrigati,” dice a quello a terra. “Ti prego, fai presto.”
“Strada!” esclama Spano dall’altro marciapiede. Abbassa la
sciarpa, come se non avessi visto il fuoco che ha negli occhi. “Muoviti.”
“Muoviti,” gli fa eco il bambino, parlando all’altro. La
voce gli trema a causa del freddo. “Per favore.”
Quello a terra muove la testa lentamente. Faccio un passo in
avanti e mi accorgo che non è un maschio, ma una femmina. Il suo viso è
pallido, ad eccezione dei segni violacei che si trovano attorno agli occhi e
sulle labbra.
I capelli biondi sono sporchi di erba e di terra.
Guardo con attenzione il suo viso, e ho l’impressione di
conoscerlo. Di averlo già visto.
“Strada, perché devi fare sempre lo stronzo?”
“Inizierò a fare le notti da stasera!” grido con rabbia a
Spano. “Contento?”
Invece di aspettare la sua risposta, raggiungo i bambini e
mi piego sulle gambe per osservare il viso di quella sdraiata a terra.
“E’ lei,” dico a bassa voce quando sono abbastanza vicino. “E’
la bambina del supermercato.”
Quella del gruppo di ribelli
a caccia di acqua e farina. Il gruppo a cui sequestrammo il bottino. I quattro bambini che mandammo
via da quel negozio dopo averli presi a manganellate.
La piccola cerca di aprire gli occhi quando mi avvicino, ma il
suo gesto è debole.
“Che cosa è successo? Che cosa le è successo?”
“Sta morendo,” risponde lui come se nulla fosse. “Non lo
vedi?” Indica la bambina con un gesto della mano. “Muoviti,” le dice. “Ti vuoi
muovere?”
La bambina indossa un giubbotto corto e stretto, e un paio
di pantaloni troppo grandi per lei. Ha la pancia scoperta, e le mani chiuse in
due pugni sul petto.
Resto a guardarla per due o tre secondi. Forse quattro.
Mentre mi dibatto su cosa è meglio fare – Chiamare un’ambulanza?
Prenderla in braccio e portarla in caserma? – lei abbassa le palpebre e non le
alza più.
“Ci sei?” chiede il bambino dopo un secondo di silenzio. “Ehi,
ci sei?”
Colpisce due volte il ginocchio della bambina con una scarpa,
e quando lei non dà segni di vita sorride.
Sì, sorride.
“Finalmente,” dice, prima di piegarsi su di lei e toglierle
prima i pantaloni e poi il giubbotto.
Li guardo entrambi, lei morta e lui intento a indossare i
vestiti che le ha rubato, e non provo altro che disperazione.
Un senso di disperazione che mi paralizza, che mi terrorizza.
Che cosa sta succedendo al mio mondo? Che cosa ci sta
succedendo?
A cosa serve quello che faccio dalla mattina alla sera, se
il risultato è questo?
Quanti altri bambini aspettano che qualcuno muoia per
portargli via i vestiti?
Chi piangerà per lei? Chi le darà giustizia?
“Contento?” chiede Spano a gran voce, mentre il bambino si
allontana a passo svelto. “Vai a chiamare il monatto,” dice, sistemando la
sciarpa sulla bocca e infilando le mani nelle tasche del cappotto. “Muoviti.”
Alessia, quando ho letto Segreto avevo immaginato che in realtà il Capitano non avesse lasciato andare quei bambini. Ma QUESTO mi ha sconvolto. Leggendolo mi si è stretto il cuore. Il bambino che guarda morire la sua "amichetta" e che non solo non si dispera ma anzi, la incita a muoversi, ad affrettarsi, mi ha spaventato. Ogni tanto, leggendo Segreto, durante gli spezzoni del diario di nonna Francesca, dovevo fermarmi perchè tutto mi sembrava così possibile, così prevedibile... Le rivolte, le azioni terribili contro le donne... e ora questo. Bambini che si abituano talmente tanto alla morte che sanno come usufruirne. Scrivi di una realtà che spaventa, ma che si potrebbe avverare.
RispondiEliminaTutto questo non significa però che non mi piaccia quello che ho letto, anzi! Come sempre, ciò che scrivi è fantastico. A quando il prossimo extra?
Non ho parole per commentare questo extra...è troppo triste perché troppo reale.
RispondiEliminabello ma e davvero triste questo extra....
RispondiEliminaè davvero molto bello questo extra... ma anche molto triste
RispondiEliminaE io che non avevo dubitato un secondo sulla sincerità del Capitano...sono sconvolta!
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