Benvenuti nel sito-blog dedicato a Segreto, il secondo libro de La Trilogia di Lilac.

lunedì 6 gennaio 2014

Quello che Lilac non sa (La Trilogia di Lilac #2.4)

Questo capitolo extra, relativamente breve, è per chi ha già terminato Segreto, in special modo il capitolo 43.
Ricordate il seguente dialogo, fra Lilac e il Capitano?

“Un’altra cosa,” aggiungo. “Un’altra cosa.”
“Dimmi.”
Pensa, Lilac. Pensa.
“Cosa è successo a quei bambini nel supermercato? Quelli che mangiavano la farina?”
“Li lasciammo andare,” risponde dopo qualche istante. “Convincemmo il proprietario a regalargli l’acqua e la farina e li lasciammo andare.”
Il mio sorriso si mescola alla commozione. “O-ok. Bene.”

Questo capitolo extra ha a che fare con le parole del Capitano.


Roma, 2019

Li noto mentre rientriamo in caserma a piedi, dopo la visita all’ospedale in cui hanno ricoverato Caridi.
Sono due, piccoli. Uno è disteso sul marciapiede, con la testa sull’erba. L’altro gli è accanto, in piedi.
Due ore fa non erano lì.
“Attraversiamo,” borbotta Spano attraverso la sciarpa che gli copre la bocca. “Non farti venire idee stupide, Strada. Sai come funziona.”
Lo so. Gli ordini sono chiari.
Non possiamo assistere i senzatetto. Non possiamo dare loro coperte, cibo, protezione.
Neanche quando, come in questo caso, sono bambini.
Spano scende in strada per cambiare marciapiede. Io resto ad osservare i piccoli, andando per l’ennesima volta contro gli ordini.
Quello in piedi non ha i pantaloni. Le sue gambe sono bastoncini pallidi e sporchi. Il nero della terra fa risaltare ancora di più il bianco della pelle infreddolita.
Batte i piedi, in scarpe più grandi dei suoi piedi, per cercare di riscaldarsi.
“Sbrigati,” dice a quello a terra. “Ti prego, fai presto.”
“Strada!” esclama Spano dall’altro marciapiede. Abbassa la sciarpa, come se non avessi visto il fuoco che ha negli occhi. “Muoviti.”
“Muoviti,” gli fa eco il bambino, parlando all’altro. La voce gli trema a causa del freddo. “Per favore.”
Quello a terra muove la testa lentamente. Faccio un passo in avanti e mi accorgo che non è un maschio, ma una femmina. Il suo viso è pallido, ad eccezione dei segni violacei che si trovano attorno agli occhi e sulle labbra.
I capelli biondi sono sporchi di erba e di terra.
Guardo con attenzione il suo viso, e ho l’impressione di conoscerlo. Di averlo già visto.
“Strada, perché devi fare sempre lo stronzo?”
“Inizierò a fare le notti da stasera!” grido con rabbia a Spano. “Contento?”
Invece di aspettare la sua risposta, raggiungo i bambini e mi piego sulle gambe per osservare il viso di quella sdraiata a terra.
“E’ lei,” dico a bassa voce quando sono abbastanza vicino. “E’ la bambina del supermercato.”
Quella del gruppo di ribelli a caccia di acqua e farina. Il gruppo a cui sequestrammo il bottino. I quattro bambini che mandammo via da quel negozio dopo averli presi a manganellate.
La piccola cerca di aprire gli occhi quando mi avvicino, ma il suo gesto è debole.
“Che cosa è successo? Che cosa le è successo?”
“Sta morendo,” risponde lui come se nulla fosse. “Non lo vedi?” Indica la bambina con un gesto della mano. “Muoviti,” le dice. “Ti vuoi muovere?”
La bambina indossa un giubbotto corto e stretto, e un paio di pantaloni troppo grandi per lei. Ha la pancia scoperta, e le mani chiuse in due pugni sul petto.
Resto a guardarla per due o tre secondi. Forse quattro.
Mentre mi dibatto su cosa è meglio fare – Chiamare un’ambulanza? Prenderla in braccio e portarla in caserma? – lei abbassa le palpebre e non le alza più.
“Ci sei?” chiede il bambino dopo un secondo di silenzio. “Ehi, ci sei?”
Colpisce due volte il ginocchio della bambina con una scarpa, e quando lei non dà segni di vita sorride.
Sì, sorride.
“Finalmente,” dice, prima di piegarsi su di lei e toglierle prima i pantaloni e poi il giubbotto.
Li guardo entrambi, lei morta e lui intento a indossare i vestiti che le ha rubato, e non provo altro che disperazione.
Un senso di disperazione che mi paralizza, che mi terrorizza.
Che cosa sta succedendo al mio mondo? Che cosa ci sta succedendo?
A cosa serve quello che faccio dalla mattina alla sera, se il risultato è questo?
Quanti altri bambini aspettano che qualcuno muoia per portargli via i vestiti?
Chi piangerà per lei? Chi le darà giustizia?
“Contento?” chiede Spano a gran voce, mentre il bambino si allontana a passo svelto. “Vai a chiamare il monatto,” dice, sistemando la sciarpa sulla bocca e infilando le mani nelle tasche del cappotto. “Muoviti.”

5 commenti:

  1. Alessia, quando ho letto Segreto avevo immaginato che in realtà il Capitano non avesse lasciato andare quei bambini. Ma QUESTO mi ha sconvolto. Leggendolo mi si è stretto il cuore. Il bambino che guarda morire la sua "amichetta" e che non solo non si dispera ma anzi, la incita a muoversi, ad affrettarsi, mi ha spaventato. Ogni tanto, leggendo Segreto, durante gli spezzoni del diario di nonna Francesca, dovevo fermarmi perchè tutto mi sembrava così possibile, così prevedibile... Le rivolte, le azioni terribili contro le donne... e ora questo. Bambini che si abituano talmente tanto alla morte che sanno come usufruirne. Scrivi di una realtà che spaventa, ma che si potrebbe avverare.

    Tutto questo non significa però che non mi piaccia quello che ho letto, anzi! Come sempre, ciò che scrivi è fantastico. A quando il prossimo extra?

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  2. Non ho parole per commentare questo extra...è troppo triste perché troppo reale.

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  3. bello ma e davvero triste questo extra....

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  4. è davvero molto bello questo extra... ma anche molto triste

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  5. E io che non avevo dubitato un secondo sulla sincerità del Capitano...sono sconvolta!

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